L’Italia al bar. L’Unità secondo Collodi


L’Italia al bar.
L’Unità secondo Collodi

Liberamente tratto dai testi
di Carlo Lorenzini (Collodi)

17 marzo 2011 ore 21.00
Libreria Edison
Piazza della Repubblica – Firenze

regia di Niccolò Baldari
testi di Giovanni de Leva
da un'idea di Diego Gabriele
musiche di Alessandro Piccinetti e Luca Sciortino
direzione artistica di Andrea Monastero
grafica e locandina di Diego Gabriele
Teatro dell'Otium

con il supporto di:
Teatro Puccini

Con la voce di Collodi, il coro delle celebrazioni per i centocinquant’anni dell’Unità d’Italia guadagnerebbe un controcanto ironico, lucido quanto sinceramente animato di fede risorgimentale. La lettura-spettacolo L’Italia al bar. L’Unità secondo Collodi muove appunto da questo intento: a partire dai testi del Lorenzini giornalista, smontati e rimontati per una lettura a tre voci, si è cercato di ripensare all’Unificazione dalla singolare prospettiva d’un caffè della Firenze granducale, di raccontare cioè i fiorentini alle prese con l’Unità d’Italia.
Ne è risultato uno spettacolo comico e storico al tempo stesso, che inizia dal ritratto affettuoso e sarcastico dei “fiorentini d’una volta”, passa quindi al divertito ricordo della “brutta malattia” della Capitale provvisoria e che infine, dai tavolacci d’un caffè popolare, guarda alla neonata nazione con un misto di speranza e disincanto. Alla storia partecipano i più diversi personaggi: il fiorentino che sogna Livorno come fosse una meta esotica, la stessa città di Firenze che prende per secondo marito il governo italiano, l’onorevole Cenè Tanti o il ragazzo di strada, sorta di fratello di Pinocchio, a cui, non a caso, Collodi affida il compito di vivificare la nuova nazione.
Coerentemente all’ambientazione dello spettacolo, in cui alle voci degli attori s’intrecceranno interventi musicali dal vivo, L’Italia al bar prevede un allestimento iniziale proprio in alcuni bar fiorentini. L’idea è quella d’un itinerario ideale lungo la città, attraverso cui restituire all’autore di Pinocchio tutto il suo impegno politico, la passione d’un uomo che partecipò alla costruzione dello Stato italiano senza nasconderne però le contraddizioni originarie.

“Dentro questo Caffè, per ragione di diritto o di spensieratezza, era lecito parlare un po’ d’ogni cosa: anche di politica, anche di libertà, anche dell’Italia di là da venire; e se ne parlava senza mistero, a voce alta, come se il Granduca fosse un mito e il Prefetto di città un orco immaginario inventato apposta per far paura ai bambini che non vogliono addormentarsi. Le spie o “confidenti” non ci capitavano mai, o ci capitavano di rado, forse per paura di diventare liberali anche loro. Di qui partirono le prime dimostrazioni patriottiche del 1848, quelle dimostrazioni che oggi si chiamano piacevolmente quarantottate.”

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